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I Cordero ultimi signori



I CORDERO. Ultimi signori feudali a Roburent
M' SEVERINO BELLINO – Rivista Savin - Roburent, anno 1983.

Marchesi di Pamparato, Conti di Roburent, Signori di Roascio, la nobile Casata monregalese dei Cordero ebbe giurisdizione sul Paese a partire dal 1724 fino all'eclisse del potere feudale
Primo della Famiglia ad esercitare su Roburent una potestà giurisdizionale fu Clemente Antonio. Il titolo comitale era stato portato in dote ai Marchesi di Pamparato da Alessandra Margherita Bonardo Mongarda, come già si è accennato. (« Savin » n. 1 1983)
La giurisdizione su Roburent dava al Cordero il potere di nomina dei giudici di prima e seconda cognizione, degli Uffiziali di giustizia, le ragioni di pesca e caccia con altri diritti ed emolumenti come da investitura reale del 19 febbraio 1724 che costò al Conte un esborso di L. 1240. Dall'investitura erano esclusi i « beni feudali » che continueranno ad appartenere ai Signori Musso per altri quarantasei anni.
Clemente Antonio Cordero non tardò a dare ai Roburentesi nuovi « bandi campestri » (20 un complesso di norme per l'ordinata attività sociale, agricola, venatoria ed altre circa l'uso dei pascoli, delle acque e delle vie comunali. Mi riprometto di parlarne se il « Savin» continuerà a vivere, come gli auguriamo, e ad ospitare le mie ricerche.
Il CONTE morì il 3 dicembre 1762. Gli successe il figlio Commendator G. B. Felice, dapprima nella sola giurisdizione e quindi nella piena Signoria con l'acquisto dei beni feudali dagli credi MUSSO. («Savin » n. 1 1982)
I beni acquistati consistevano: in una casa e castagneto di 980 tavole, a Pagliuzzo; in due molini ad una ruota, a poca distanza l'uno dall'altro: il più a monte sulla riva sinistra e il più a valle, sulla riva destra del Roburentello (quest'ultimo, acquistato in seguito dalla Ditta Cattaneo Domenico, restò efficiente fino al 1940); nel gerbido e rocche con torre rovinata, di tavole 546, in parte contestate, più tardi, al Conte Donato succeduto al padre nel 1788. (« Savin » n. 2 1982)
L'avvento in Piemonte di Napoleone, la assegnazione dei beni feudali del Castello alla Comunità nel 1797 l'abolizione dei titoli nobiliari l'anno'1798 conseguente alla ventata rivoluzionaria francese, staccarono i Roburentesi dai Cordero. Questi continuarono a fregiarsi del titolo comitale anche dopo la Restaurazione (1814).
L'Elenco Ufficiale della nobiltà italiana Ed. 1933, pag. 264 riporta come Conte di Roburent lo Stanislao Cordero. Il titolo dovrebbe essere passato al figlio Felice Maria. La Costituzione italiana del 1948, in applicazione della disposizione transitoria n. XIV, consente ai titolati prima del 1922 (avvento del fascismo) la conservazione del solo predicato del titolo nobiliare.
Durante la Restaurazione fu Conte di Roburent Clemente Gioachino, fratello di Donato allora vivente. Gioachino è « Gran Maestro della Casa Reale » di Vittorio Emanuele I. «GRAN MAESTRO» è uno soltanto dei pomposi titoli di cui si fregia. Oltre che Marchese di Pamparato, Conte di Roburent, Gioachino è Cavaliere dell'Ordine equestre di San Maurizio e Lazzaro, Cavaliere Stefaniano d'Ungheria, Sovrintendente alle Scuderie Reali ' ecc.
Uno storico moderno ritiene il nostro Conte «vecchio, ignorante e per di più permaloso». Non ho elementi per condividere il severo giudizio. L'essere vecchio (nel 1814 aveva 58 anni) è nell'ordine della natura e non è certamente da ascrivere a demerito. Ma non è solo Gioachino ad essere malamente giudicato. Tutto l'« entourage » reale e di governo è « mediocre, intrigante, spiantato barattiere, gravato di debiti, la pigrizia in persona ». (Storia del Piemonte di Michele Ruggiero, Ed Piemonte in Bancarella Torino pagg. 755
Il Conte morirà a Torino il 5 marzo 1826 a settant'anni d'età. Gli sopravvivrà Donato ed a questi si deve l'epigrafe apposta sulla parete destra dell'abside del Santuario di Vico. In essa Clemente Gioachino è chiamato « fratello Ottimo carissimo » e viene salutato come « uomo di stabili sentimenti verso il Principe che l'ebbe necessario in ogni vicissitudine della buona e cattiva fortuna ». L'iscrizione termina con questa esortazione: « A TE QUISDAM DISCAT FIDEM OPIBUS PRAEFERRE ! » e cioè: «da Te impari ciascuno che la fede è da preferire alle ricchezze! ».
Il Conte Donato nel 1834 legherà al Santuario la considerevole somma di L. 20.000 per coprire parte delle spese della facciata.
Restando nell'abside spostiamo lo sguardo sulla parete sinistra Simmetrica all'epigrafe accennata ce n'è un'altra La sua lettura c'informerà che lì furono traslate l'Il dalla Chiesa di Nostra Donna di Mondovì Piazza, le OSSA di G.B. Felice Cordero e della consorte Anna Maria Vivalda dei Marchesi di Castellino.
Per le loro benemerenze verso la Basilica i Cordero avevano ottenuto proprio nel 1816 il patronato ad honorem sull'abside, dedicata ai Santi Rocco e Maurizio.
Uno zio di G.B. Felice, un prelato Pontificio, morendo a Roma nel 1740 lasciò erede universale il nipote con la espressa clausola di sistemare l'abside del Santuario. Il nipote, rispettando la volontà del testatore, curò l'erezione dell'altare, la balaustrata e le varie ornamentazioni negli anni 1746 e tre anni dopo faceva dipingere l'icona dal MEYER di Praga. G. B. Cordero fu Maggiordomo del Re Carlo Emanuele III, Sindaco di Mondovì e Procuratore Generale dei Santuario dal 1751 al 1769.
A buon titolo ottenne d'avere sepoltura tra le sue mura.
Dei Cordero rimane a Pamparato il Castello settecentesco ora sede del Comune e delle Scuole. A Roburent, invece, dei Suoi Conti non rimangono che tracce sui catasti del 1790 relativi ai beni feudali posseduti.