Accesso ai servizi

Storia del S. Giacomo



Breve storia di S. Giacomo e della sua Parrocchia
Bollettino Parrocchiale di San Giacomo anni1965-66 di Michele Pantaleo

Inizia su questo numero del bollettino parrocchiale una breve storia di S. Giacomo e della sua parrocchia, storia che ho tratto da documenti conservati nell’archivio parrocchiale e da alcune pubblicazioni storico - geografiche sul monregalese. Ringrazio moltissimo il rev. Parroco don Ilario Roatta che mi ha messo a completa disposizione i documenti dell’archivio ed ora mi permette di dare alle stampe questa mia piccola opera. Ringrazio inoltre tutti quegli abitanti del luogo che mi hanno dato notizie precise sui nomi, ormai caduti in disuso, di località e regioni e mi hanno aiutato a comprendere fatti che non mi risultavano molto chiari nei documenti originali. Certamente questa mia opera non è priva di difetti e di inesattezze. Sarò grato a chiunque vorrà segnalarmi queste pecche e mi auguro comunque che questo lavoro interessi tutti coloro che amano S. Giacomo.

Michele Pantaleo


S. Giacomo dal punto di vista storico – economico - geografico

San Giacomo, fino al 1800 chiamato Pianfei (dal dialetto locale: piano delle pecore), sorse probabilmente verso il 1000. Sono ancor oggi visibili in alcuni luoghi ruderi di antiche case e la colonia dei Mussi sorge su un nucleo primitivo di pietra che risale al 1200.
L’economia della frazione, che sin dalle origini appartenne al comune di Roburent, fu fino a qualche anno fa essenzialmente agricola; essa si basava sul taglio del fieno e degli alberi, sulla raccolta delle castagne, sulla coltivazione delle patate, sull’allevamento del bestiame. Durante il secolo scorso fu fiorente anche il particolare artigianato dell’intarsio dei mobili, del quale non è rimasta attualmente alcuna traccia. I pascoli di S. Giacomo, come d’altronde quelli di Roburent, si spingevano fino sullo spartiacque Antoroto – Pizzo di Ormea – Mongioie ed erano occupati da pastori piemontesi; al di là di tale spartiacque i pastori liguri occupavano tutta l’alta valle del Tanaro ed avevano in Upega la loro indiscussa capitale della pastorizia. Attraverso la vicinissima valle Corsaglia passava l’antica valle dell’olio che dalla Liguria per il colle di Nava, Viozene, il passo dell’olio (dell’aceto.Aseo. Nota di Don Ilario Roatta) (ai piedi della parete est del Mongioie), Fontane giungeva fino a Mondovì.
Attraverso la Valle dell’Ellero, non troppo lontana da S. Giacomo, passava la importantissima via del Sale che dalla Liguria, per Viozene, Carnino, il passo delle Saline giungeva fino a Mondovì permettendo ai commercianti liguri di portare il prezioso condimento nel Piemonte occidentale. Queste due vie erano molto frequentate anche in inverno e rappresentavano due tra i più comodi passaggi tra Piemonte e Liguria.
Altra via molto importante era quella della valle Casotto.
Proprio su questa via un gruppo di monaci certosini costruì una certosa che, oltre ad essere un centro di preghiera e meditazione, poteva servire come ricovero per viandanti, specie durante i mesi invernali. Tali monaci si presero a cuore la cura delle anime dei paesi vicini ed alcuni di loro soggiornarono stabilmente anche a S. Giacomo, ove, sin dalle origini esisteva una piccola cappella. Qui essi ogni domenica, fino a tutto il 1600, celebravano la S. Messa, per gli abitanti della frazione.
Non si hanno notizie precise sul numero di tali abitanti ma si ha ragione di credere che nel 1600 fossero almeno 500. Poi essi andarono man mano diminuendo essendo nel 1810, 402, nel 1854, 300, nel 1931, 231 ed attualmente soltanto più di 190 circa. Il nucleo abitato di S. Giacomo comprende alcuni gruppi di case che hanno nomi diversi. Il nucleo più antico è costituito dal centro, ancora oggi chiamato Pianfei, ove sorgeva la cappella e poi fu costruita la chiesa parrocchiale. Altrettanto antico è il nucleo dei Mussi (dal nome della famiglia anticamente padrona di tali case ), ove ora sorge la colonia dell’opera pia Galliano. Di poco posteriore nel tempo è il nucleo dei Saviotti, detto un tempo anche region dei Savi dal cognome Savio dei primi abitanti di quelle case che sorgono su un poggio poco sopra i Mussi. Più recenti sono i nuclei dei Ciapè (dal dialetto locale pietre) sul confine con il territorio di S.Anna, degli Odassi (dal nome della prima famiglia ivi abitante) sulla strada per la roccia dell’aquila, dei Rossi (anch’essa dal nome della famiglia che abitò per prima quelle case) sulla strada per Roburent proprio sotto gli Odassi, dei Manere sulla strada per il Corsagliola, del Groppignano, ora del tutto disabitato, sotto l’Alpet alle sorgenti del Corsagliola.


Dal 1800 ai giorni nostri

Il 16 luglio 1800 la chiesa di S. Giacomo viene eretta a parrocchia; grande è il tripudio dei sangiacomesi che si battevano per avere una loro parrocchia dall’inizio del 1700.
Nello stesso anno il nome della località muta ufficialmente da Pianfei (piano delle pecore) a S. Giacomo. Agli inizi del secolo diciannovesimo le scuole in Piemonte non erano statali ed il regno di Sardegna permetteva alle chiese di mantenere scuole per l’istruzione primaria dei bambini dei paesi. Grazie a questo privilegio, nel 1836, il parroco don Carlo Restagno, con l’aiuto d’un lascito di don Giovanni Odasso nativo del luogo, aprì la prima scuola pubblica totalmente gratuita e la affidò al viceparroco con funzione di maestro. Nel 1881, per ordine della legge Casati, la scuola passò allo stato e da allora tutti gli oneri economici per il suo funzionamento gravarono sul bilancio del comune di Roburent. Risolto fin dal 1836 il problema scolastico, col passare degli anni si presenta quello della posta. Fino al 1886 la posta diretta agli abitanti di S. Giacomo doveva essere ritirata direttamente dai destinatari nell’ufficio postale di Roburent. Nel 1886 il ministero assume Vincenzo Caffaro come portalettere per le frazioni di S. Giacomo e dei Cardini. Egli è tenuto a tre sole distribuzioni settimanali della corrispondenza. Soltanto nel 1890 viene murata sulla facciata della chiesa la cassetta postale. Nel 1887 un improvviso ed abbastanza violento terremoto colpisce il paese ed arreca danni materiali abbastanza gravi. Fortunatamente non si lamentano vittime ma quasi tutti i fabbricati sono lesionati. Alla fine del secolo scorso S. Giacomo, anche se aveva due servizi pubblici fondamentali quali sono la scuola e il servizio postale, non possedeva ancora una comoda rete stradale. I collegamenti con i vicini centri erano tutti affidati a mulattiere che nel periodo dello scioglimento delle nevi o durante i periodi piovosi divenivano pressoché intransitabili. In 17 dicembre 1891 i sangiacomesi rivolgono una richiesta al sindaco ed al consiglio comunale di Roburent per ottenere una strada carrozzabile per S.Anna o per Roburent.
Prontamente nel 1892 il sindaco di Roburent li accontenta deliberando la costruzione della attuale carrozzabile che passa in mezzo alla frazione Garian, carrozzabile ora in corso di allargamento ed asfaltatura.
Nel 1900 anche la borgata Saviotti è unita al centro di S. Giacomo con una carrozzabile. Nel 1921 viene costruita la carrozzabile per S.Anna, la più breve via di comunicazione tra S. Giacomo e la pianura; essa rimane strada intercomunale fino al 1937 anno in cui diviene provinciale ma nel 1940, causa la guerra ridiventa comunale e soltanto nel 1954 ridivverrà definitivamente provinciale e nel 1963 sarà asfaltata ed allargata. Nel 1928 è la volta di Serra di Pamparato ad essere unita con una carrettabile che verrà poi allargata in modo da divenire carrozzabile nel 1956.
Alla fine del secolo diciannovesimo mancava ancora a S. Giacomo un servizio pubblico fondamentale: l’acquedotto. Alla fine dell’ottocento viene costruito il primo che serve soltanto il centro, cioè Pianfei. Nel 1903 è costruito il primo che serve la frazione dei Mussi e quella dei Saviotti. Il costo di tale opera è di L. 313. Grazie ad esso nel 1905 è inaugurato il primo lavatoio pubblico, costruito ai Saviotti. Col passare degli anni il primitivo acquedotto non è più sufficiente a soddisfare il fabbisogno idrico della frazione e nel 1931 la popolazione, con consenso del Comune, provvede alla costruzione d’un secondo acquedotto che alimenta anche una rete di sei fontane pubbliche alcune ancora oggi funzionanti. Nel 1953 un consorzio privato (il Consorzio Idrico San Giacomo ndr) provvederà alla costruzione d’un terzo acquedotto, molto più grosso dei precedenti, captando l’acqua dal versante nord ovest dell’Alpet. Un altro servizio pubblico fondamentale l’elettricità giunge in paese nel 1934, mentre il servizio telefonico giunge solo nell’estate del 1954 . Nel 1937 il paese è unito per la prima volta con S. Michele di Mondovì con un servizio di autolinea, servizio interrotto nel 1940 causa la guerra e che verrà ripreso solo nel 1954. nel 1932 Stefano Selvatico dà inizio ai lavori di costruzione dell’albergo Stella Alpina mostrandosi così pioniere del turismo. Nell’aprile 1938 in regione «Parocia» inizia la costruzione di villa Astengo, prima villa privata costruita a S. Giacomo. Nel Natale 1961 viene inaugurato l’hotel Uranio, il più moderno hotel del paese e nel 1956 viene inaugurato il primo e sinora unico distributore di benzina. Nell’ottobre 1962 S. Giacomo, grazie alla costruzione dello skilift Giardina, diviene stazione turistica invernale. Ad esso si aggiunge nell’ottobre 1964 lo skilift Sapel. Lo sviluppo turistico di S. Giacomo non è che agli inizi; probabilmente il turismo sarà il più importante capitolo della storia futura del paese.

La Chiesa Parrocchiale di S. Giacomo sotto il profilo tecnico – architettonico – artistico

Le dimensioni massime della chiesa di S. Giacomo sono 26 metri di lunghezza e 15 metri di larghezza. Lo stile è barocco piemontese. La parte esterna non è mai stata compiuta completamente a differenza della parte interna. La pianta della chiesa, attribuita per voce di popolo all’architetto Francesco Gallo, è estremamente elegante nella sua semplicità. La chiesa è a pianta centrale a croce, con grande vano ovoidale coperto da una cupola, con quattro bracci di dimensioni ridotte, uno di ingresso, due laterali in cui sono sistemati due altari ed il presbiterio con retrostante abside circolare.
Il presbiterio è sormontato da una cupola emisferica, molto più piccola di quella centrale. Il tetto, a forma prismatica con base ottagonale allungata secondo l’asse maggiore della chiesa, è sostenuta da due capriate parallele di 11 metri di luce, distanti tra loro m. 1,70. Gli spigoli dell’ottagono sono sostenuti da cantonali di lunghezza variante tra m. 6,80 e m. 7,40 poggianti da una parte sul muro e dall’altra parte sulla testata delle capriate. La spinta è contenuta da tiranti che uniscono i piedi dei cantonali. La superficie è in ardesia di piccola superficie e gran spessore, proveniente da cave locali.
La muratura, tutta portante, è mista, cioè formata da pietre e mattoni pieni e varia dal metro al metro e mezzo di spessore. In essa sono aperte due entrate per i fedeli, una porta per la sacrestia e due porte, di cui una molto piccola, che mettono in comunicazione la chiesa colla canonica. Le finestre sono quattro, una per ogni lato della costruzione.
All’interno la chiesa presenta una tribuna lignea per l’organo, 4 coretti in muratura, 4 altari, un battistero. L’altare maggiore è dedicato a parte apostolo il maggiore ed è opera del marmista savonese Domenico Galeotti, risale al 1885 ed ha un pregevole tabernacolo in oro.
Proprio dietro l’altare, nella parete dell’abside vi è una tela rappresentante parte, S. Siro (protettore della chiesa parrocchiale di Roburent) e la B.V. del Carmine: risale al secolo XVI e l’autore è ignoto. Entrando a sinistra, protetto da un cancello in ferro battuto del secolo XV vi è un altare dedicato alla Natività di Maria Vergine sopra a cui vi è un affresco dall’inizio del 1700, di autore ignoto, raffigurante la Madonna di Vicoforte (Regina Montis Regalis) entrando a sinistra nel vano centrale vi è l’altare in origine dedicato a S. Francesco di Sales ed ora a S.Antonio con tabernacolo ligneo è sormontato da una tela raffigurante S. Francesco di Sales, S. Rosalia e la Concezione della Vergine, del secolo XVI di autore ignoto; a destra sempre nel vano centrale vi è l’altare dedicato a S. Giuseppe agonizzante con tabernacolo ligneo è sovrastato da un quadro raffigurante S. Giuseppe agonizzante del 1746 di autore ignoto.
La chiesa possiede una pregevole Via Crucis dipinta ad olio su tela da una autore ignoto nel 1756; fu restaurata nel 1848. Nel battistero, che si trova di fronte all’altare della Vergine di Vicoforte, esiste un affresco dell’inizio del secolo XVI raffigurante il battesimo di nostro Signore.
A sinistra dell’altare vi è una statua lignea raffigurante la Madonna, opera di Luigi Santifaller di Ortisei acquistata nel 1946. il presbiterio è illuminato da due pregevoli lampadari lignei regalati sempre nel 1946 dal geometra Edoardo Brunengo. La chiesa è arredata con molti banchi ed un coro ligneo (in noce semplice lo schienale del 1827. Nota di Don Ilario Roatta) del quale non si conosce la data di costruzione né l’autore. La chiesa fu affrescata nel 1840 da Bonari, nel periodo 1869-71 dal pittore Francesco Toscano ma a causa dell’umidità gran parte di queste pitture furono irrimediabilmente danneggiate tanto che nel periodo 1944-46 il pittore di Montaldo Pietro Rulfo dovette restaurare ed in gran parte fare ex novo tutti gli affreschi delle pareti e delle cupole.


Breve storia del paese

I Preti della Chiesa Parrocchiale

Prima di passare ad illustrare la storia della costruzione della chiesa parrocchiale e della parrocchia stessa è giusto riportare un elenco con i dati essenziali dei sacerdoti che dal 1705 si sono succeduti nella guida delle anime di S. Giacomo e tante energie hanno speso per rendere sempre più accogliente la chiesa superando gravi difficoltà finanziarie talora incompresi e scherniti da una certa parte dei parrocchiani.

Nel 1705 è cappellano don Giovanni Antonio Sibilla. Pochi anni dopo diviene cappellano don Giovanni Manera che morì nel 1724. l’anno seguente diviene cappellano don Pietro Calleri. Nel 1728 diviene cappellano don Giovanni Battista Alasia sostituito nel 1730 da don Sebastiano Alasia. Nel 1735 ritorna come cappellano don Pietro Calleri sostituito nel 1747-48 da don Giovanni Manera. Alla fine del 1748 diviene cappellano don Ferrua, mentre nel 1753 diviene cappellano don Giuseppe Antonio Regis aiutato da don Boglia. Nel 1756 ritorna come cappellano don Pietro Calleri. Altre notizie sui cappellani non si hanno. Notizie più ampie e complete si hanno sui parroci. Eccole:

DON VINCENZO DAZIANO: resse la parrocchia dalla sua erezione (1800) al 1813, quindi vi rinunciò per reggere la parrocchia di Torre sua patria, dove morì.

DON GIOVANNI REGIS, nato a Roburent il 12 marzo 1784, prese possesso della parrocchia nel 1813 e la resse fino al 1831 per poi rinunciarvi e morire a casa sua.

DON CARLO RESTAGNO, nato a Monesiglio il 5 marzo 1806, prese possesso il 20 marzo 1831. Restò in questa parrocchia per ben 49 anni, « record » sinora imbattuto, e se ne andò a Dogliani, come rettore del monastero colà esistente, il 12 marzo 1880 ed ivi morì il 22 agosto dello stesso anno.

DON ANDREA BERTANO, nato a Torre il 26 dicembre 1845 venne a S. Giacomo il 31 agosto 1884 da Valcasotto ove era viceparroco e maestro; fu investito della parrocchia il 2 ottobre dello stesso anno. Vi rinunciò il 1° gennaio 1899 e si ritirò a Mondovì nell’oratorio di S. Filippo ove morì il 7 luglio 1930.

DON ANTONIO FERRERO, nato a S. Michele il 20 ottobre 1861 fu investito della parrocchia il 18 luglio 1899 e ne prese possesso il 13 agosto dello stesso anno. Morì il 20 febbraio 1933 ancora alla guida della sua parrocchia (caso sinora unico) ed è sepolto nel cimitero di S. Giacomo nella cappella della fam. Brunengo.

DON PIETRO GHIGLIA, di Mondovì, prese possesso della parrocchia l’11 giugno 1933 dopo che l’11 maggio ne era stato investito; il 7 settembre 1937 fu trasferito a Trinità nella parrocchia di S. Giovanni.

DON GIACOMO MASSIMINO, nato a Carrù il 10 agosto 1911 dopo una lunga parentesi a Trinità fu investito della parrocchia il 18 novembre 1937, ma ne prese possesso il 5 dicembre. Fu trasferito a Magliano Alpi nella parrocchia di S. Giuseppe nel marzo 1965.

DON ILARIO ROATTA, nato a Mondagnola frazione di Frabosa Soprana il 29 marzo 1930 entrò nella parrocchia il 6 giugno 1965.


Storia della Parrocchia di S. Giacomo

Come abbiamo già scritto, non si conosce con esattezza la data di costruzione della cappella sita in regione Pianfei di S. Giacomo. Certamente essa è molto antica; il primo documento giunto sino a noi che parli di tale cappella è relativamente recente e risale al 1672: è il foglio 230 del Vecchio Catasto del comune di Roburent, conservato in municipio, e su di esso si legge l’elenco, relativo a quell’anno, degli appezzamenti di terreno (ben 10) appartenenti alla chiesa di S. Giacomo. Fino al 1702 non si hanno ulteriori notizie della cappella che sino a questo anno conteneva soltanto l’altare ed il vano per ospitare i fedeli; non esisteva ancora un fonte battesimale.
In tale anno la popolazione del paese ammontava a 50 famiglie e la cappella era appena sufficiente a contenerle. La neve d’inverno chiudeva le mulattiere che univano S. Giacomo ai paesi vicini ed in particolare chiudeva quella per Roburent dove dovevano essere portati per il battesimo i neonati, molte volte mettevano a repentaglio la vita stessa delle giovani creature, in quanto il freddo intenso poteva facilmente apportare ai fragili organismi una polmonite che a quei temoi si rivelava quasi sempre mortale. Oltre a ciò la cappella, che a quel tempo era dotata di un prete confessore mantenuto a spese degli abitanti di Pianfei ed abitante nella canonica, non custodiva l’olio Santo e proprio a causa delle difficoltà di comunicazione con Roburent coloro che morivano nei mesi invernali ben difficilmente potevano ricevere l’estrema unzione. Per porre rimedio a questi gravi inconvenienti, il 27 agosto 1702 gli abitanti di S. Giacomo decidono di comune accordo con il loro Parroco Don Sebastiano Alasia, titolare della parrocchia di S. Siro in Roburent, di inviare una supplica alla curia vescovile di Mondovì perché permetta la costruzione d’un fonte battesimale dentro la cappella e perché permetta di custodire in essa l’Olio Santo. Tale supplica, che consta di due lettere, una degli abitanti di Pianfei, l’altra del Parroco di Roburent, Don Sebastiano Alasia, è ancora oggi custodita nell’archivio parrocchiale. La curia di Mondovì, in persona di Don Fulcheri, prese in considerazione la richiesta ed autorizzò la costruzione del fonte battesimale e la conservazione dell’Olio Santo con decreto datato 26 settembre 1702. È probabile che l’anno successivo il fonte funzionasse.
Altre notizie sulla cappella non si hanno fino al 1705. Il giorno 8 settembre di questo anno, ebbero termine i lavori per la costruzione dell’altare della Vergine Santissima (l’attuale altare dedicato alla regina Montis Regalis) ed il giorno seguente il cappellano Don Giovanni Antonio Sibilla celebrò la prima messa nel nuovo altare.
Fino all’anno 1707 tutti coloro che morivano nella frazione di S. Giacomo dovevano essere trasportati e seppelliti nel cimitero di Roburent (?) Se questa mesta operazione era facilmente eseguibile durante l’estate, d’inverno diveniva rischiosa e non sempre eseguibile.
Era così necessario seppellire i morti sotto la cappella e ciò non era certo né igienico né facile.
Per tali ragioni gli abitanti di S. Giacomo richiesero, d’accordo con il loro parroco, alla curia di Mondovì il permesso di costruire un cimitero accanto alla loro cappella. Tali richieste datate 1 aprile 1707 e 12 aprile 1707 sono ancor oggi conservate nell’archivio. Gli abitanti di S. Giacomo furono prontamente accontentati e già nel 1707 poterono usufruire del loro primo cimitero situato dove ora c’è il presbiterio della chiesa parrocchiale. Quello attuale verrà invece costruito, principalmente per la ragione igienica di allontanare i morti dal centro abitato, nel 1839.
Il primo cimitero fu definitivamente finito colla erezione di un muro di cinta nel 1719 nel 1728 diviene cappellano di S. Giacomo don Giovanni Battista Alasia e sotto di lui si fanno i primi progetti di ingrandimento della cappella. Allo scopo di avere il materiale per tale ingrandimento i massari (cioè i laici che coadiuvano il parroco nella amministrazione dei beni della chiesa) acquistarono nel 1729 una cava di pietre da Agostino Mela. Essa era situata nel territorio di S. Anna e da essa furono ricavate quasi tutte le pietre che formano la struttura della attuale chiesa. Nel 1730, divenuto cappellano don Sebastiano Alasia, si cominciò a pensare di costruire ex novo una chiesa, sia pure nello stesso luogo della cappella esistente, piuttosto che ingrandire la stessa. Fu così che nel 1735 fu approntato un progetto esecutivo per la costruzione della nuova chiesa.
Riguardo all’autore del progetto non esistono in archivio documenti o annotazioni. La voce popolare attribuisce il progetto all’architetto monregalese Francesco Gallo. Come giustamente ha fatto rilevare Nino Carboneri in uno studio critico molto recente sul Gallo, soltanto la pianta della chiesa si può attribuire con qualche ragione a Gallo.
Nel maggio 1736 viene richiesto al vescovo di Mondovì il permesso per costruire la nuova chiesa e tale permesso fu accordato il 19 maggio dello stesso anno. La storia della costruzione della nuova chiesa fa parte di un capitolo successivo e colà rimandiamo coloro a cui interessa. Verso la fine del 1700 i sangiacomesi rivolgono richieste sempre più pressanti alla parrocchia di Roburent ed alla curia di Mondovì per ottenere l’autonomia parrocchiale della nuova chiesa.
Sono accontentati dall’allora vescovo di Mondovì Mons. Giuseppe Antonio Maria Corte che decreta l’erezione a parrocchia della chiesa di S. Giacomo Apostolo il Maggiore con « istrumento di dotazione, fondazione ed erezione » datato 16 luglio 1800 rogato Giuseppe Ruggiero Maria Basso notaio collegiato e cancelliere vescovile a Mondovì.
Parroco della chiesa di S. Siro in Roburent era allora don Carlo Galleano e primo parroco della chiesa di S. Giacomo viene nominato don Vincenzo Daziano. In archivio esiste il documento originale della erezione a parrocchia della chiesa di S. Giacomo; è molto interessante, ma troppo lungo per essere qui riportato per esteso. Riporto soltanto, nella lingua originale del documento, la descrizione dei confini della nuova parrocchia.

« I confini della parrocchia di San Giacomo sono stabiliti:

A mezzogiorno il piccolo monte detto le Colme (è l’attuale bric Colmé) fino alle falde del medesimo per la parte, che fa prospettiva a Pianfei da cui tirando una linea si vada verso… sino al tetto dei doze (è la attuale cascina dei Dolci che sorge sotto la pineta) beni del medesimo, proseguendo quindi la linea verso levante si vada sino alla stalla di Siro Savio fu Sebastiano; rivoltando poi la linea della detta stalla inclusi i beni annessi alla medesima verso mezzanotte si vada alle stalle dette di Parrocia di Giovanni Savio fu Siro (si trovano presso villa Astengo); proseguendo poi la linea verso mezzanotte dai tetti detti dei Parrocia si vada fino al tetto bruciato detto di Stranbino: da Stranbino al tetto del Magnino (è la cascina che si trova poco sotto la strada per la roccia dell’aquila verso la pianura: è ancora oggi abitata) di Siro Antonio Galleano; dal tetto del Magnino si rivolti la linea verso ponente e si estenda sino al….. divisorio tra la comunità di Montaldo e quella di Roburent posto al di là degli Odassi vicino alla strada vicinale che conduce a Montaldo; da questo termine divisorio in appresso serva la linea divisoria tra le comunità di Roburento e Montaldo verso ponente, a mezzogiorno sino alla regione detta la Madonana e sino al seccatoio di Francesco Robresto detto il Saccone: si intersechi tal linea divisoria in linea del detto seccatoio e si rivolti verso la regione detta la Barchera, Madonanna, Groppiniano sino alle falde del monte detto Sorei (probabilmente la falda nord est dell’Alpet sopra il Corsagliola: il nome Sorei deriva da sorriso perché la regione è esposta al sole)(Il nome, con tutta probabilità non è Sorei ma Forei. Si tratta di un toponimo molto diffuso dove ci sono zone forestali e faggi . ndr) poi in linea retta che termini alle falde del piccol monte detto le Colme (il bric Colmé) ove ha principiato il primo punto fisso, così che resti chiusa la linea di periferia di confini che stabiliscono così la Parrocchia di Pianfei e tale oppugnazione in vista che il Quartiere di Cardini, di cui fa menzione il signor arciprete di Roburent in detta sua dichiarazione non ha mai dimostrato la menoma premura di essere unito alla suddetta nuova Parrocchia, e che tale Quartiere quantunque più vicino a questa atteso però l’impraticabilità della strada massima d’inverno per la copiosa neve resta ancora più pericoloso e difficile l’accesso alla suddetta nuova Parrocchia ».

L’ultimo capoverso indica la ragione ufficiale della non appartenenza della frazione dei Cardini al territorio parrocchiale di S. Giacomo. In effetti la ragione vera è un’altra. Gli abitanti dei Cardini, anche se erano stati invitati dai sangiacomesi, non contribuirono né con materiale, né con soldi, né con manodopera alla costruzione della chiesa di S. Giacomo. I Cardini (il cui nome deriva probabilmente da cardellini, poiché i boschi che circondano la frazione erano, ed in parte sono ancora ora, ricchi di questi uccelli) passarono poi nel 1827 dalle dipendenze della parrocchia di S. Siro di Roburent a quella di Serra Pamparato dalle quali dipendono tutt’ora.

Nel 1815 nasce ai Mussi l’opera pia Galliano e questo importantissimo atto della storia della parrocchia è illustrato in un capitolo successivo.

Nel 1835 l’amministrazione parrocchiale di S. Giacomo acquista la casa detta della scuola (il fabbricato rosso davanti alla bottega di commestibili di Dorini), ancora oggi di sua proprietà e che ospitò dal 1836 al 1941 la scuola elementare di S. Giacomo. Anche la storia di questa casa è riportata in un capitolo successivo.

Il 21 agosto 1858, 58 anni dopo la erezione a parrocchia e 122 anni dopo l’inizio della sua costruzione, la chiesa è consacrata dal vescovo di Mondovì Mons. Giovanni Tommaso Ghilardi, dell’ordine dei predicatori; questa è l’unica consacrazione nella storia della chiesa di S. Giacomo.
L’altare maggiore, costruito nel 1885, non è mai stato consacrato.

Nel 1860 scoppia una vertenza per i confini della parrocchia tra Montaldo e S. Giacomo; vertenza composta onorevolmente soltanto nel 1863.

In data 8 agosto 1866 l’ufficio del regio registro di Mondovì notifica alla amministrazione parrocchiale la conversione a favore dello Stato di tutti i beni immobili della parrocchia in osservanza al secondo capoverso dell’art. 11 della legge per la soppressione degli ordini o corporazioni religiose del 7 luglio 1866 n. 3036. Dal 10 novembre 1870 (ricordate che è l’anno della marcia su Roma) al 17 marzo 1871 il regio demanio incamera tutti i beni della chiesa e li vende successivamente in asta pubblica.
Come se ciò non bastasse, in forza della legge dell’11 agosto 1870 (siamo nel periodo più critico di tensione fra Chiesa e Stato) lo Stato tassa beni mobili ed immobili della fabbrica parrocchiale dal 4 novembre 1867 al 1°gennaio 1871 nella misura del 30 per cento
Il pubblico incanto dei beni incamerati dallo Stato fruttò L. 10.000; di esse 4.700 andarono alla chiesa, il resto al regio demanio. Sembra però che questi beni siano stati acquistati in gran parte da persone fedelissime alla chiesa e che, quando la tensione tra Chiesa e Stato si esaurì, tali beni ripassassero alla amministrazione parrocchiale. Le 4.700 lire spettanti alla chiesa furono obbligatoriamente investite in una cartella dello Stato che rendeva 239 lire annue: tale cifra corrispondeva alla rendita annua percepita dai beni incamerati secondo la denuncia fatta per la tassa della manomorta (legge del 1866).

Il 15 dicembre 1884 l’amministrazione parrocchiale, grazie anche a tale rendita annua, può pagare un sacrestano (Vincenzo Caffaro che farà poi anche il postino)e l’anno seguente anche un organista stipendiato con 15 lire all’anno. Ma i guai per la chiesa non sono ancora finiti: in forza del decreto ministeriale del 24 maggio 1886 l’amministrazione comunale è obbligata a vendere i beni immobili che era riuscita a salvare dallo incameramento statale del 1871. Nell’asta del 1° ottobre 1886 è costretta a vendere sei appezzamenti; il 1° gennaio 1888 ed il 27 luglio 1889 con rogito notarile rogato Musizzano deve venderne altri tre.

Il 10 gennaio 1900 la chiesa, per eredità di don Vertano, viene in possesso dell’appezzamento di terreno davanti alla canonica, che verrà trasformato in orto ed ancor oggi svolge egregiamente tale funzione.

Nel 1910 le figlie di Maria tengono la prima lotteria a beneficio dell’amministrazione parrocchiale: ricavato lordo L. 7,75, netto L. 3.36: primo premio era un foulard; tale lotteria verrà ripetuta con successo negli anni 1911 e 1912.

Il 5 maggio 1912, l’amministrazione parrocchiale permuta alcuni immobili acquistati nel 1906 con la casa attigua alla canonica.
Tale casa, divenuta successivamente pericolante, fu abbattuta poco prima della II guerra mondiale; sorgeva ove ora c’è la legnaia ed il garage. Il 20 febbraio 1933 muore don Ferrero, primo e sinora unico parroco morto alla guida della parrocchia di S. Giacomo e lega al beneficio parrocchiale la sua ricca biblioteca; nello stesso anno muore il sacrestano e gli succede il figlio Andrea.

Il 1° gennaio 1937 la società Piemontese Centrale Elettrica affitta dalla amministrazione parrocchiale un vano attiguo alla sacrestia e lo adibisce ad uso cabina di trasformazione. L’affitto annuo è di lire 1 e tale rimarrà fino al 31 dicembre 1956 giorno in cui la cabina di trasformazione è trasferita su un palo esterno dietro la chiesa.

Nel 1938 esce il primo numero della «Squilla», il giornale parrocchiale. Tale pubblicazione verrà interrotta per mancanza di fondi nel 1953 e sarà ripresa nel 1965 con una dignitosa veste tipografica ed una periodicità trimestrale. Nel 1965 e 1966 si effettuano, a cura dei giovani villeggianti, due banchi di beneficenza a favore dell’amministrazione parrocchiale.


La costruzione della Chiesa

Il quattro maggio 1736, il capomastro Torelli e l’architetto Luigi Brunengo, nativo di S. Giacomo e massaro della chiesa, eseguono la misurazione del terreno su cui verrà costruita la chiesa e nello stesso giorno viene stipulato il contratto di acquisto del terreno stesso dal sig. Lazzarino Mela.
È ancora esistente in archivio il contratto originale. Ma il terreno acquistato non è sufficiente per la costruzione del campanile ed allora il 1° agosto 1736 viene acquistato altro terreno attiguo al precedente sempre dallo stesso Lazzarino Mela.
Nel giugno dello stesso anno si era già provveduto a chiedere il permesso per la costruzione della nuova chiesa al senato del regno di Sardegna a Torino e tale permesso era stato immediatamente accordato. Comincia così nel 1736 la costruzione della nuova chiesa; verrà terminata soltanto nel 1780, soprattutto per mancanza di fondi, e verrà completamente arredata soltanto nel 1797.
È davvero ammirevole il coraggio che ebbero i sangiacomesi di allora; senza mecenati e con i fondi limitatissimi essi costruirono la chiesa attuale lavorando personalmente, donando per la costruzione legno dei propri boschi, trasportando sabbia, terra, pietre da cave situate quasi tutte nel territorio di S. Anna e fabbricando in sito mattoni e calce.
La chiesa fu poi coperta, secondo l’uso di allora, di paglia e soltanto nel 1801 verrà ricoperta con lastre di ardesia.
Nel 1737 viene iniziata la costruzione della cappella di S. Giuseppe che verrà terminata verso il 1750, l’arredamento di essa risale però al 1764.
Nel 1738 inizia la posa del tetto del coro. Nel 1746 viene acquistata la tela che rappresenta S. Giuseppe agonizzante e che verrà posta nella cappella omonima ed ancor oggi è esistente.
Nel 1752 vengono costruiti i primi banchi e vengono aperte le finestre della chiesa che in origine erano soltanto tre mancando quella dell’abside che verrà aperta nel secolo successivo. Nel 1758 viene restaurato il fonte battesimale, che era stato costruito nel 1702, per poterlo inserire degnamente dentro la struttura della nuova chiesa.
Nel 1736 viene iniziata la costruzione della sacrestia, che era posta nella sala a destra dell’altare, ove ora è custodito l’archivio. Essa verrà terminata nel 1765. Nel 1768 la costruzione della chiesa è giunta ad un punto tale che è necessario inserire la vecchia cappella del luogo nella struttura della nuova chiesa. Tale cappella, anche se serviva a tutta la comunità di S. Giacomo, era di proprietà di un privato: l’avv. Gianmaria Regis. La amministrazione della chiesa acquista da tale privato la suddetta cappella e ne abbatte ben tre muri, conservando soltanto il muro di fondo ove era l’altare della Vergine di Vico, ancor oggi esistente.
È del 1770 un disegno della fabbrica della chiesa, di cui esiste una copia dell’archivio; esso fu pagato nel 1773 al sig.Abate Trona, probabile autore dello stesso. (o del Gallo?Nota di Don Ilario Roatta)
Nel 1773, essendo sorte gravi difficoltà finanziarie per la copertura della chiesa, si decide di accendere una sorta di mutuo. Superata così anche tale difficoltà nel 1774 vengono costruiti i serramenti delle finestre e l’anno successivo viene posta in opera la balaustra, che però non è l’attuale che verrà costruita nel 1848.
Nel 1776 è terminata la volta del coro ed è anche terminato l’inserimento della vecchia cappella nella nuova chiesa (in pratica è terminato l’inserimento dell’altare della B. Vergine).
Tra il 1776 e il 1778 sono terminate tutte le volte. Nel 1780 è posta la porta della chiesa e nel 1785 sono effettuati i lavori di stuccatura. Nel 1786 sono costruiti due confessionali, posti in opera l’anno successivo. Essi sono ancor oggi esistenti.
Nel 1791 è costruito il palco dell’orchestra mentre dal 1793 al 1795 la chiesa è imbiancata. Nel 1796 sono costruiti altri banchi e nel 1798 viene finito l’altare maggiore in muratura (che non è l’attuale in marmo).
Nel 1801 il tetto originale della nuova chiesa in paglia è sostituito da un tetto in lastre piccole di ardesia delle cave locali. Nel 1833 viene costruito il pulpito ligneo ancor oggi esistente.
Nel 1840 la chiesa è decorata da Bonari che l’anno successivo decora anche il battistero. Sempre nel 1841 è il cancello in ferro battuto del battistero costato ben 200 lire.
Nel 1848 viene costruita l’attuale balaustra in marmo nel presbiterio. La spesa è di lire 500. il 3 giugno 1858 viene acquistato l’organo della parrocchia di S. Siro in Roburent; esso non è in buon stato perché vecchio e viene a costare L. 600, che sono pagate in tre rate, l’ultima delle quali è del 5 luglio 1883. la indispensabile riparazione dello strumento costa altre 600 lire e solo nel 1966 troverà una definitiva restaurazione ad opera dell’organaro Pansera di Torino.
Nel 1862 è costruito un terzo confessionale. Nel periodo 1869-1871 il pittore Francesco Toscano affresca la chiesa: per tale lavoro è pagato nel 1878, 70 lire.

Nel 1878 una abbondante nevicata danneggia gravemente il tetto della chiesa ed è la causa della lesione alla struttura della cupola ancora oggi chiaramente visibile.
L’8 marzo 1885 la amministrazione parrocchiale decreta l’erezione dell’attuale maggiore affidandone il lavoro marmista savonese Domenico Galeotti. Oltre a questo il Galeotti costruisce anche la vasca in marmo del battistero colla sottostante colonnetta.
I due lavori vengono pagati in totale lire 1120.
Nel 1887 un terremoto abbastanza violento colpisce S. Giacomo e provoca una vasta screpolatura alla volta, diverse fenditure ai muri perimetrali specie sulla facciata e nell’abside.
Grazie alla perizia del 18 luglio 1888 del geometra Giovanni Zurletti, segretario comunale di Roburent, nel 1892 la amministrazione parrocchiale può ottenere dallo stato la concessione di un prestito di L. 28 mila all’interesse del 3,50 per cento per effettuare le riparazioni più urgenti alla chiesa (messa in opera dei tiranti in ferro ancora oggi esistenti) ed alla casa canonica, anch’essa gravemente danneggiata dal terremoto. Nel 1889 il capomastro di Serra di Pamparato, Giovanni Nasi, inizia la costruzione della attuale sacrestia, che verrà terminata l’anno seguente e verrà a costare L. 400. Assieme alla sacrestia sono costruite anche le camere superiori con l’intenzione di adibirle ad alloggio del sacrestano. Nel 1912 viene aperto, per meglio illuminare la chiesa, il finestrone nella parete dell’abside e viene rifatto il pavimento dell’abside, perché rovinato dall’umidità; ma anche tale pavimento non avrà miglior sorte e dovrà essere rifatto per la stessa ragione nel 1949 e, stavolta in modo definitivo, nel 1956 assieme al pavimento del presbiterio.
Sempre nel 1912 deve essere rifatta la volta sferica del presbiterio, irrimediabilmente lesionata al tempo dell’abbattimento del vecchio campanile.

Nel 1914 il falegname Emilio Ferrua di Serra di Pamparato costruisce il bancone e l’armadio della sacrestia ed i mobili dell’archivio parrocchiale (tutti ancora oggi esistenti).
Nel 1915 anche il tetto dell’abside deve essere rifatto. Il 28 gennaio 1924 il capomastro di Serra di Pamparato, Paolo Nasi, presenta un preventivo di L. 4.909 per rifare il pavimento della chiesa piastrellando l’ingresso e le corsie e mettendo palchetto di castagno sotto i banchi. Di tale preventivo non se ne fece nulla ma il pavimento della chiesa fu rifatto nel 1932 colla spesa di lire 4.070 però in fondo diverso dal preventivo.
Sempre nel 1932 la chiesa si arricchisce di 12 banchi, d’un tappeto di cotone dono del sig. Stefano Salvatico e d’un ombrello per il santo Viatico dono della maestra Maria Brunengo, che poi diverrà suora carmelitana.
Nel 1934 il parroco don Pietro Ghiglia costruisce personalmente in due mesi di lavoro l’impianto della luce elettrica della chiesa e della canonica, impianto che verrà sensibilmente potenziato nel 1965. Negli anni 1935-37 viene riparato il tetto a lose (lastre di pietra. ndr) sovrastante la cupola maggiore della navata colla spesa di L. 1.768. nel 1940 viene costruita l’attuale bussola alla porta principale della chiesa in legno di castagno: costo L. 1.892. nel periodo 1944-46 il pittore di Montaldo Pietro Rulfo restaura ed in parte dipinge ex novo i vecchi affreschi della chiesa completamente rovinati dall’umidità.
Sempre nel 1944 viene riparato tutto lo zoccolo interno e viene posta una soletta in cemento al cornicione maggiore esterno della facciata da tempo pericolante. Nel 1948 il tetto della navata centrale, già rifatto negli anni 1935-37, per la rottura di alcuni travi di sostegno a seguito d’un nubifragio minaccia di crollare travolgendo anche la cupola centrale. È riparato immediatamente con un lavoro radicale di rifacimento delle travi di sostegno.
Nel 1949 è acquistato il tappeto in cotone del presbiterio. Ha una superficie di Mq 24 e costa L. 12.520. Esso è ancor oggi regolarmente usato. Nel 1951 vengono rifatte le finestre della sacrestia. Nel 1964 la chiesa viene dotata d’un impianto di riscaldamento a gas liquido e d’un potente impianto di amplificazione dotato di due colonne sonore all’interno della chiesa e di quattro trombe piazzate all’esterno della cella campanaria.

Nel 1965 l’impianto di riscaldamento viene sostituito da uno molto più potente ed efficiente basato su sei elettroventilatori e sensibilmente potenziato l’impianto elettrico.


IL CAMPANILE

Il campanile attuale non è quello costruito in origine; esso, come vedremo, risale all’ottobre 1904.
Il primitivo campanile, più alto e snello dell’attuale, fu costruito negli anni 1767-68 ma le opere di fondazione risalgono al 1749. Nel 1769 fu dotato d’un orologio, che però si guastò molto presto tanto che nel 1794 fu comprato un altro orologio, non nuovo, e dopo accurata revisione sostituì il precedente. Ma anche tale orologio non ebbe lunga vita e fu sostituito da uno, finalmente nuovo di fabbrica, nel 1832. Nel 1889 il campanile pende di 30 cm. rispetto alla verticale e comincia a preoccupare per la sua stabilità. Le ragioni di questa anormale pendenza secondo gli abitanti del luogo sono da attribuirsi alla pioggia, alla neve che d’inverno si accumula attorno alle fondamenta e le mantiene costantemente fradice d’acqua durante il disgelo ed al fatto che nella costruzione della attuale piazza furono scalzate le fondamenta. Frattanto anche l’orologio non funziona più a dovere ed il 26 maggio 1901 si delibera di acquistarne uno nuovo dalla ditta Jemina. Nel 1902 l’inclinazione del campanile verso la piazza è salita ad oltre 50 cm. rispetto alla verticale e nel 1903 si delibera di fare effettuare una perizia dall’ing. Montezemolo. Tale perizia è compiuta il 23 febbraio 1903: l’ingegnere rileva che la ragione della inclinazione è dovuta ad un lento scorrimento del terreno superficiale sulla roccia scistosa, che non è stata raggiunta dalle fondazioni, scorrimento dovuto alle infiltrazioni d’acqua piovana e di quella prodotta dallo scioglimento delle nevi.
Il giorno stesso l’ingegnere consiglia di vietare l’accesso al campanile stesso, al presbiterio, all’abside ed alla sacrestia. La messa domenicale è così celebrata nell’altare di sinistra.
Nel giugno 1903 vengono tolte le campane e l’orologio. Dal 25 agosto al 12 settembre dello stesso anno, a spese del comune, viene demolito il campanile fino al piano di gronda. Nell’ottobre 1904 il capomastro di Serra di Pamparato, Nasi, completa la demolizione del vecchio campanile ed inizia le opere di fondazione dell’attuale; esso viene costruito nel 1905 e rifinito con pittura e rinzaffatura esterna nel 1906.
Esso è alto m. 31; ha una base quadrata di m. 3,80 di lato; lo spessore del muro è di m. 0,90 fino al piano di gronda, oltre m. 0,80.
Sempre nel 1906 vengono piazzate le campane e l’orologio. Tutte le opere di costruzione sono compiute dalla impresa di Paolo Nasi di Serra di Pamparato e le spese sono sostenute dal regio economato, dalla amministrazione parrocchiale e dal comune di Roburent.
Il campanile è dotato di una scala interna in legno che adduce fino alla cella campanaria del 1934.
Tale scala, opera dei falegnami Filippo e Carlo Spetro, viene a costare L. 230.
Alle 14,30 del 28 novembre 1947 un fulmine danneggia gravemente il lato nord-ovest del campanile che dovrà essere riparato l’anno successivo.
Memori della lezione, nel 1949 si provvede a mettere in opera un parafulmine. Nel 1951 la cella campanaria viene munita d’un parapetto ai quattro lati e d’un paravento in legno dal lato nord-ovest.
Nel settembre 1965 viene rifatto il tetto in lamiera zincata del campanile, danneggiato da un nubifragio nell’agosto dello stesso anno.


LE CAMPANE: PROFILO STORICO-ARTISTICO

Non si hanno notizie di quando la cappella di S. Giacomo, esistente prima della chiesa attuale, fu dotata di una campana. Si sa solo che la campana si ruppe nel 1737 e che essa fu rifusa nel 1741.
Nel 1832 alla campana esistente ne fu aggiunta un’altra, opera dei fratelli Vallino di Bra: tale campana, che si ruppe nel 1949, aveva scritto sopra la frase: «Ecclesiae parrocchialis planpaeti a roburento sub titulo S. Jacobi ap. Populi pietas refecit a. D. 1832». Su di essa vi erano quattro figure in rilievo rappresentanti la crocifissione con l’Addolorata, il patriarca Giuseppe ed altre due figure ignote. Era larga cm. 73 alla bocca, alta cm. 61, lo spessore del bronzo era di cm.5, il suo peso kg. 24,13. veniva usata per i rintocchi ordinari e per chiamare a scuola i bambini.
Nel 1951 la stessa ditta forniva un’altra campana, ancor oggi esistente, con sopra la scritta: «A fulgore et tempestate libera nos Domine». Porta in rilievo quattro figure rappresentanti: l’apostolo Giacomo, la Crocifissione con l’Addolorata, S. Siro (protettore della chiesa di Roburent), la Beata Vergine. Misura cm. 95 alla bocca, è alta cm. 80, ha uno spessore medio del bronzo di cm. 6, pesa kg 54,16 e costò lire 1.023,97 pagate con un prestito nel 1857. È la campana più potente e serve per i rintocchi dei funerali, per l’Angelus (inizio, metà, fine del giorno). Suona i rintocchi delle ore e delle funzioni più solenni.
Nel 1894 il parroco fece una sottoscrizione per una nuova campana, che però non fu mai comprata.
Nel 1942 il ministero della guerra richiese le campane per fondere e fare cannoni ma grazie all’opera di persuasione del parroco don Massimino, rinunciò a prenderle.
Nel 1949, come già detto, si ruppe la campana costruita nel 1832 e l’anno successivo fu rifusa dalle fonderie Achille Mazzola di Valduggia (Vercelli). Fu benedetta alle 15 del 24 agosto 1950; essa è intitolata alla Vergine Assunta in cielo ad al Santo patrono S. Giacomo il maggiore. Madrina della campana fu la signora Maria Giansana Astengo e padrino l’allora sindaco di Roburent geometra Galliano.

La casa della scuola e l’istruzione scolastica in S. Giacomo
Il 16 dicembre 1827 un sacerdote di S. Giacomo, don Giovanni Odasso, arciprete di Roccacigliè, con uno strumento (atto notarile) lasciava alla parrocchia di S. Giacomo L. 3.000 di Piemonte coll’obbligo di impiegare il reddito per la celebrazione di sei messe e per il mantenimento di un sacrestano e di un vicecurato con funzioni anche di maestro. In quei tempi la scuola non era ancora un servizio statale ed il regno di Sardegna permetteva alle chiese di mantenere scuole per l’istruzione primaria dei bambini dei paesi. Don Odasso morì il 7 gennaio 1828 e, nonostante la chiesa di S. Giacomo avesse difficoltà ad ottenere la somma suddetta, tuttavia pensò presto di procurarsi una casa che servisse da abitazione a un sacerdote vicecurato e maestro ed inoltre avesse locali adatti per la scuola. Il 4 ottobre 1835, la amministrazione parrocchiale comprò, per la somma di L. 400, con atto notarile rogato Ferrero in data 19 ottobre 1835, la casa cosiddetta della scuola (davanti alla attuale bottega di commestibili Dorini) da tale Pietro Odasso. Assieme a tale casa acquistò anche l’orto attiguo.

L’amministrazione parrocchiale provvide poi alle necessarie riparazioni e nel 1864 la ampliò e sopraelevò di un piano. Nel 1887 fu lesionata dal terremoto e il 2 febbraio 1893 subì un incendio che distrusse il tetto in paglia, il gabinetto, il terrazzino, parte della scala e danneggiò tutti i locali cell’ultimo piano. Nel 1836 nella casa fu sistemata la prima scuola della frazione. Talke scuola era mantenuta dalla amministrazione parrocchiale e come primo maestro e viceparroco venne a S. Giacomo don Griseri, a cui succedreà nel 1839 don Regis, quindi nel 1855 don Gazzera (proveniente da Benevagienna-Isola), che rimase a S. Giacomo come maestro e viceparroco fino al 1881, anno in cui per la legge Casati sull’istruzione, art. 344, le scuole di tutte le parrocchie del regno d’Italia devono essere rette da comuni.

Dal 1881 San Giacomo non ebbe più viceparroci e la scuola ebbe una maestra pagata dal comune di Roburent.

Nel 1884 sorse una lunga controversia, che durò 20 anni, tra il comune di Roburent e la chiesa: il comune pretendeva parte del reddito del legato e la casa della scuola; molti parrocchiani si dichiararono solidali col comune contro la chiesa; tuttavia la chiesa riuscì a conservare la casa della scuola e la affittò al comune perché rimanesse sede della scuola e residenza della maestra. Nel 1925 il comune, a causa delle ristrettezze del suo bilancio, rinunciò ad affittare i locali adibiti ad alloggio della maestra e continuò ad affittare le due aule scolastiche fino al 1941, anno in cui la scuola fu trasferita in altri locali. La casa della scuola rimase vuota fino al 1952 anno in cui, dopo una serie di lavori di abbellimento, fu affittata ai villeggianti ed a tale funzione è adibita tutt’ora.

L’ opera Pia Galliano

Il 1° settembre 1749 nella borgata di Montà nel comune di Roburemt nacque don Sebastiano Galleano. Dopo aver compiuto gli studi a Mondovì ed essere diventato viceparroco nel 1878 divenne parroco della parrocchia di S. Ensebio in Andonno (diocesi di Mondovì fino al 1817. Nota di Don Ilario Roatta) comune della provincia di Cuneo qui rimase fino alla morte avvenuta il 9 dicembre 1820 (9 marzo 1820 . Nota di Don Ilario Roatta)all’età di 71 anni. Fu sepolto nella tomba dei sacerdoti dietro l’altare maggiore della chiesa in cui era stato parroco per ben 42 anni.
Il 13 dicembre 1815, don Galleano fece testamento, rogato Barberis notaio in Mondovì. Con tale testamento, oltre ad altre disposizioni a favore di parenti, egli lasciava in eredità alla parrocchia di S. Giacomo la cascina cosiddetta dei Mussi ed il territorio circostante di ha. 14.74.05. Egli aveva acquistato tale cascina coll’annesso territorio dei padri Filippini dell’oratorio di Mondovì, i quali a loro volta l’avevano ricevuta in eredità dal priore Musso, ultimo erede in linea maschile della famiglia Musso, che si fregiava di titoli nobiliari e che aveva sempre abitato in tale cascina. Don Galleano legò tali beni alla parrocchia col preciso impegno che essi costituissero l’istituzione: Opera Pia Galleano. Tale opera cominciò a funzionare nel 1821, cioè immediatamente dopo la morte di don Galleano. Lo scopo dell’opera pia è fissato nel testamento di don Galliano.

Fate del bene all’anima del pio fondatore mediante la celebrazione di due messe da requiem perpetue mensili di cui una cantata e l’altra letta; (una per l’anima sua e l’altra per i Parrocchiani di S. Giacomo.Nota di Don Ilario Roatta )
Distribuire ai poveri bisognosi della parrocchia di S. Giacomo ed a quelli della borgata Montà, luogo nativo di don Galleano, il ricavato della coltivazione dei campi e dello sfruttamento dei boschi. (Dopo aver pagato tasse e manutenzione e piccolo dono al parroco. Nota di Don Ilario Roatta )
Per imposizione della legge del 23 maggio 1851 l’opera fu assoggettata alle leggi riguardanti alle opere pie. Tra l’altro la legge imponeva al parroco di San Giacomo, esecutore testamentario, amministratore unico e segretario dell’opera pia per volere di don Galleano (Galleano.Nota di Don Ilario Roatta ), la denuncia del bilancio al regio sottoprefetto.

Il 22 ottobre 1874 fu pubblicato lo statuto dell’opera che fu approvato dal ministero dell’interno il 14 agosto 1892. Attualmente la istituzione è classificata in base all’art. 3 del R. D. 30 dicembre 1923 n. 2841 come istituzione pubblica di assistenza e beneficenza di seconda classe.

I beni dell’opera pia furono prima dati a mezzadria e poi affittati fino al 1950. Dopo tale data l’allora amministratore unico don Massimino non giudicò più conveniente continuare ad affittare i beni e, mentre gran parte del terreno fu destinato alla coltura dei pini, il civile ed il rustico furono completamente riattati (dal 1951 al 1954) e furono destinati, come tuttora, a colonia ed a casa d’affitto per i villeggianti.

Nel 1954 le case furono dotate di luce elettrica. Il fabbricato civile è datato 1641, la cappella (che divenne poi parte del rustico) 1761. entrambi sorgono su ruderi di un’antica costruzione risalente al secolo XIII.


LE COMPAGNIE RELIGIOSE


Compagnia degli Agonizzanti o di San Giuseppe

È la più antica compagnia; fu fondata il 23 febbraio 1729 ed è tuttora fiorente. Nell’archivio è ancora esistente il regolamento originale della compagnia: esso consta di 9 articoli nei quali è compendiato lo scopo della compagnia e sono imposte le regole per appartenere alla compagnia stessa. Lo scopo è quello di assistere spiritualmente i confratelli in punto di morte mediante la recita del S. Rosario e, avvenuta la morte, mediante la celebrazione di una S. Messa da Requiem. Tutti gli abitanti di S. Giacomo, con un pagamento simbolico di poche lire, sono confratelli della compagnia ed hanno diritto a tale assistenza spirituale. La festa della compagnia è il 19 marzo, San Giuseppe, ed a tale festa tutti i confratelli sono tenuti a prepararsi con una novena.
Il 20 marzo do ogni anno vi è la celebrazione della S. Messa da requiem in suffragio di tutti i defunti della compagnia. La compagnia gode di specialissime indulgenze perpetue concesse da Sua Santità Benedetto XIV.

Compagnia di S. Antonio e compagnia delle Umiliate

La compagnia di S. Antonio fu fondata il 1° luglio 1837 ed è tuttora fiorente. I suoi scopi sono di assistenza spirituale in beneficio dei confratelli. Il regolamento impone agli aderenti alcune opere di pietà quali la recita del S. Rosario nei giorni festivi, la recita di diverse preghiere in caso di morte di qualche confratello, la assidua partecipazione alle processioni che si tengono in parrocchia. Alla compagnia di S. Antonio è aggregata la compagnia delle Umiliate che ha un regolamento analogo: essa si è staccata dalla compagnia di S. Antonio a partire dal 1886.

Compagnia delle Figlie di Maria

Fu fondata il 18 maggio 1859 con decreto dell’allora vescovo di Mondovì Giovanni Tommaso Ghilardi ed è tuttora esistente. Il regolamento è molto simile a quello della compagnia di S. Antonio. La festa si celebrava il 27 aprile festa della Beata Vergine del Buon Consiglio. Ora il giorno 8 dicembre, festa dell’Immacolata, abbinata alla festa delle Umiliate.

Compagnia dei Luigini

Non si conosce la data di fondazione di tale compagnia, ma essa è certamente molto antica; probabilmente fiorì per due secoli. Fu soppressa con decreto di don Massimino nel 1941 perché i suoi scopi statutari, che erano simili a quelli della compagnia di S. Giuseppe, erano stati travisati dagli aderenti. Ora si fa ancora la nomina dei Priori per la processione del Corpus Domini.

Apostolato della Preghiera

Fu fondata nel 1938 ed è tuttora esistente anche se non troppo fiorente.

Pia Unione dell’Immacolato Cuore di Maria per la conversione dei peccatoti

Fu eretta il 24 agosto 1853 per ubbidire ad un decreto del vescovo di Mondovì Giovanni Tommaso Ghilardi datato 24 agosto 1853. L’altare di tale pia unione è quello della Natività di Maria. Non si hanno più notizie di tale compagnia.

CASA CANONICA

L’attuale canonica è una costruzione discretamente antica. Essa fu costruita, non però nella veste attuale a due piani ma ad un sol piano, verso il 1739.

Il tetto di paglia fu posto proprio nel 1739. la mancanza fu posto proprio nel 1739. la mancanza di fondi però costrinse ad attendere tempi migliori per rifinire l’opera così che soltanto nel 1748 fu possibile mettere in opera gli infissi e soltanto nel triennio 1759-61 furono terminati tutti i lavori. Nel 1763 fu costruita la primitiva sacrestia della chiesa che trovò posto in canonica nell’ultima sala adiacente la chiesa, ove ora è sistemato l’archivio. Negli anni 1848-51 colla spesa di L. 1.600 la canonica fu sopraelevata assumendo la forma attuale; inoltre il tetto fu rifatto in lose.

Nel 1887 il terremoto che colpì S. Giacomo danneggiò gravemente la canonica arrecando gravi lesioni ai muri perimetrali e sconnessione al tetto.

Nel 1889-1890 fu costruita l’attuale sacrestia e le camere sovrastanti che fanno parte di una nuova ala della canonica prospiciente la piazza; inizialmente essa era riservata ad alloggio del sacrestano; la spesa fu di L. 400. (????.Nota di Don Ilario Roatta )

Nel 1915 vengono rinnovati gli infissi della canonica, vengono rifatti molti pavimenti, viene portata l’acqua potabile e viene parzialmente rifatto il tetto che è poi completamente rifatto nel 1926.

Nel giugno 1927 il geometra Edoardo Brunengo presenta un progetto per il totale rifacimento della canonica che però non viene attuato per mancanza di fondi: tale progetto è ancora conservato in archivio.

Nel 1928 viene costruito il primitivo cortile con muro di cinta. Nel 1934 la luce elettrica giunge in canonica.

Nel 1938 è presentato un nuovo progetto per il totale rifacimento della canonica ma anch’esso non è realizzato per mancanza di fondi; si preferisce fare importanti lavori di consolidamento dei muri perimetrali con gettate di calcestruzzo e sostituire la volte in muratura pericolanti con volte in cemento armato: viene inoltre costruita l’attuale terrazza portico, il cortile ed il muro perimetrale di esso. L’anno successivo la terrazza è coperta con l’attuale tettoia.

Negli anni 1940-43 è sistemato il piano terreno che assume la pianta attuale, sono aperte delle finestre, sono rifatti molti pavimenti; inoltre è sistemata la scala in modo da permettere la costruzione di servizi igienici al primo piano. Una alluvione nel 1948 danneggio gravemente il tetto della canonica che viene aggiustato nel 1950.

Nel 1956 la canonica riceve nuovi importanti lavori di rifacimento interni.

Nel 1965, all’entrata dell’attuale parroco, al canonica è dotata di un impianto di riscaldamento ed è quasi completamente rifatta internamente.

- FINE -